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CENNI STORICI SUL "PALAZZO SAN FILIPPO"

Ad Ascoli Piceno quando si parla di Palazzo San Filippo si intende far riferimento al Palazzo del Governo, sito in Piazza Simonetti, che ospita gli uffici della Provincia e della Prefettura.

Il nome gli deriva dall'essere stato qualche secolo fa un convento, quello dei PP Filippini detto anche dell'oratorio, attiguo alla chiesa dedicata a San Filippo Neri, demolita nel 1902 su iniziativa della Provincia, che nel 1864 l'aveva acquistata dal Comune, proprietario della struttura dopo la confisca dei beni della Chiesa ad opera dello Stato italiano.

Il Palazzo era stato costruito nella prima metà del secolo XVIII su disegno di Pier Sante CICALA, che intendeva "con una fabbrica grandiosa e regolare", eliminare le brutture estetiche nel luogo in cui esistevano molte case tra loro diverse. Dai documenti dell'epoca si apprende che la fabbrica del convento si protrasse fino al 1797, ma i lavori vennero interrotti al compimento di 2/3 delle opere interne e di metà del prospetto esterno. Ne risultò un insieme di tetti alti e bassi, di mura vecchie e nuove irregolarmente allineate e sporgenti l'una dall'altra che, anche per le diverse destinazioni d'uso, fu oggetto dei successivi interventi effettuati ripetutamente sul palazzo, fin a che non ebbe raggiunto l'aspetto attuale, all'inizio di questo secolo.

I Filippini nel Seicento e nel Settecento avevano promosso un'intensa attività nel campo religioso ma anche culturale e artistico, come gli altri ordini e congregazioni del tempo che cercavano di superarsi l'uno con l'altro, in una vera e propria competizione, nell'abbellire e impreziosire con profusione di ornamenti le loro chiese e conventi, secondo i canoni del barocco allora imperante.

In particolare, i venticinque conventi dei Filippini esistenti nelle Marche si caratterizzarono per i sontuosi arredi e la presenza di opere d'arte di notevole valore.

Purtroppo, a seguito dell'allontanamento nel 1861 dei Filippini dal Convento ed alle conseguenti trasformazioni architettoniche non resta alcuna traccia visibile del passaggio dell'ordine dei Filippini nelle stanze del Palazzo San Filippo.

L'edificio, prima dell'attuale destinazione ebbe comunque una serie di alterne vicissitudini. Nel 1862, subito dopo il passaggio di proprietà al Comune, fu adibito a sede di Corte d'Assise; qui vi si celebrò, infatti, il 12 febbraio 1862, il processo ai parroci di montagna accusati di attività antigovernativa.
Successivamente il Palazzo fu adibito a Caserma e quindi a convitto femminile sino ad avere la definitiva destinazione di sede del Governo.

 

Per l'ultima trasformazione, per questioni di economia si decretò il semplice innalzamento della vecchie mura fino a tutta l'altezza del secondo piano. Fu necessario rialzare anche una parte della facciata, essa tuttavia rimase incompleta e a mano a mano che progredivano i lavori, sotto la direzione dell'lng.Arch. Marco MASSIMI l'opinione pubblica si mostrava avversa ad un sistema di opere che avrebbe eternato l'irregolarità e l'indecenza di quella facciata.

Pertanto la Commissione del Pubblico Ornato, chiamata in causa, dovette sospendere i lavori ed ordinare un progetto per il compimento della facciata con la quale si sarebbero tolte tutte le mostruosità di quelle vecchie mura.
Occorreva un ulteriore immenso sacrificio: eliminare la Chiesa di San Filippo che ostacolava la realizzazione del nuovo intervento che avrebbe dato al palazzo la definitiva sistemazione con una facciata imponente e più degna.

Del progetto furono incaricati l'Architetto Umberto PIERPAOLI di lesi e l'ingegnere Ugo CANTALAMESSA di Ascoli, molteplici furono le manifestazioni di dissenso alla demolizione della Chiesa di San Filippo, insigne opera d'arte barocca, da parte della cittadinanza ascolana.

La Chiesa di San Filippo venne demolita e le molte opere d'arte al suo interno furono distrutte. Gli altari barocchi furono trasferiti nella Chiesa della Madonna della Marina di San Benedetto del Trento, la tela del Caravaggio raffigurante Sant'Isidoro fu destinata all'Accademia di Brera, il dipinto del CROCE, la "Madonna col Bambino" fu depositato nella Pinacoteca Civica unitamente ai putti del GIOSAFATTI; alcuni armadi decorati furono trasferiti nella Cattedrale, ma la totalità degli arredi alcune tele come quella del BURATTI raffigurante iI "transito di San Fìlippo" scomparvero definitivamente insieme ai resti mortali di pittori ed artisti ascolani come il NARDINI che erano sepolti nella chiesa demolita.

Il prezzo di tale sacrificio, incalcolabile dal punto di vista artistico per l'edificazione di una proprietà imponente che dava al Palazzo del Governo una sua maestosa solennità nel centro di Ascoli ha definitivamente ricomposto stili diversi in una unitarietà classicheggiante

Dopo essere stata ospitata per alcuni decenni presso il Palazzo del Popolo, la sede prefettizia di Ascoli Piceno venne trasferita nel vasto complesso realizzato nel corso del XVII dai padri Oratoriani di Ascoli: al fine di disporre di spazi idonei, nel 1902 fu abbattuta la Chiesa di San Filippo, una delle più interessanti testimonianze del barocco ascolano e gli architetti Cantalamessa e Pierpaoli progettarono un imponente palazzo di carattere eclettico, ispirandosi per gli elementi ornamentali a quanto sopravviveva del precedente edificio.

Per la decorazione dello spazioso salone delle feste ci si avvalse dell'opera del più famoso artista marchigiano attivo fra Otto e Novecento, Adolfo De Carolis.

Nato nel 1874 a Montefiore dell'Aso, dopo i primi studi ad Acquaviva Picena, al seminario di Ripatransone e al Ginnasio di Fermo, questi frequentava dal 1888 l'Accademia di Belle Arti di Bologna, avendo come insegnante l'ascolano Domenico Ferri: nel 1892 giungeva finalmente a Roma, grazie ad una borsa di studio concessagli dal Pio Sodalizio dei Piceni, dove entrava in contatto con i componenti del gruppo "In Arte Libertas" che lo introducevano nel mondo dei Preraffaeliti inglesi, avvicinandolo ad una cultura di respiro europeo che l'artista piceno seppe coniugare con il proprio amore per la tradizione pittorica del Quattrocento e con la grande ammirazione per le opere di Michelangelo.

Quando nel 1907 inizia la decorazione della Prefettura ascolana, De Carolis ha al suo attivo un'esperienza artistica assai vasta: autore di ritratti e di paesaggi marchigiani, di xilografìe e di illustrazioni di libri nonché ideatore delle scene e dei costumi per la messa in scena de "La figlia di Iorio" di Gabriele D'Annunzio, il pittore piceno si era già confrontato con decorazioni di grande impegno ‘lei saloni di Villa Costanti-Brancadoro a San Benedetto del Tronto.

Per i dipinti destinati al paesaggio ascolano egli non utilizzò la tecnica "a fresco", ma si limitò, sulla parete trattata a calce, a stendere i colori a tempera sciolti nella cascina, impiegando anche i colori ad olio per vari ritocchi: questa inusuale scelta tecnica consentiva all'artista di operare con maggiore libertà, conferendo alle scene una grande vivacità cromatica che si evidenzia soprattutto nelle figure del fregio.

Recuperando un impianto ornamentale neo- rinascimentale, De Carolis ha dipinto sul soffitto una decorazione architettonica con lacunari aperta lungo i margini su un cielo azzurro, contro il quale si stagliano monumentali alberi di quercia, mentre gli angoli sono occupati da cartigli con iscrizioni latine che inneggiano al Piceno.

Robusti putti michelangioleschi sostengono un ricco festone di fiori di rosa che percorre il perimetro del soffitto delimitando l'alto fregio delle pareti che comprende varie scene figurate suddivise da finte architetture.

Mettendo a frutto gli studi fatti in precedenza sul folklore piceno e sul mondo dei pescatori, De Carolis descrive le attività praticate nel territorio, raggiungendo una notevole efficacia decorativa e rivelando le sue doti di grande equilibrio fra mito e realtà, in una visione epica ed esaltante.

Le monumentali figure delle contadine che recano sul capo i cesti colmi di frutta, le grandiose immagini delle donne che portano le arche di legno con i corredi per mariti dediti alla pesca, le figure allegoriche sedute sugli ampi troni marmorici evidenziano l'amore per gli affreschi michelangioleschi della cappella Sistina, il cui stile magniloquente si stempera in un elegante fraseggio lineare che discende dall'adesione di De Carolis al gusto Liberty.

Preparati dagli studi a tempera su cartone conservati presso la Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno, i dipinti del sa1one delle feste della Prefettura costituiscono la più alta testimonianza pittorica lasciata dall'artista nella sua Terra di origine e preludono con il loro stile grandioso alle successive imprese realizzate dal De Carolis presso il Palazzo dei Podestà a Bologna (1917-1928), nell'Aula Magna dell'Ateneo di Pisa (1916-1920) e nella sala del Consiglio Provinciale di Arezzo (1922-1924).

Ultimo aggiornamento
Giovedì 28 Marzo 2024, ore 16:50